giovedì 26 novembre 2015

Non ci resta che piangere...

La vita non è mai come la progetti.
Puoi mettere sveglie, timer, cronometri.
Puoi avere il Google Calendar più organizzato e articolato della Terra. Ma qualcosa, sicuramente, andrà come non te lo aspetti.
Prendete me, ad esempio.
Stamattina avevo puntato la sveglia ad un orario decente dato che, purtroppo, non sto lavorando (ma va'?! Ditelo che è un colpo di scena, che non l'avevate capito!) e l'inattività mi porta inevitabilmente ad andare a dormire sempre più tardi e, di conseguenza, a svegliarmi a ora di pranzo. Sono nottambula per natura, ma ciò non giova alla mia attuale vita professionale e sociale.
Mi piacessero almeno le discoteche o le feste... mannaggia...
Fattostà. Sveglia, colazione, post brillante e ameno su Cenerentola e il Cinema, borsone, palestra.
Realtà: sveglia, colazione... e fin qui tutto ok... telefonata a mamma (in programma), protratta ben oltre il consentito. Tragedia!
Ma no. In fondo, oggi non ho impegni particolari: posso traslare tutto anche di un'ora o due.
Altra telefonata, decisamente fuori programma, decisamente sgradita, decisamente sgradevole.
Risultato: eccomi qua, ore 12:10, ancora in pigiama, vestaglia cogli orsetti, spettinata, letto disfatto, borsone abbandonato, post modificato.
Ora posso dirlo, sono autorizzata: TRAGEDIA!
Non è come pensate. Va bene, tanto per cambiare sono in ritardo. Sapete, io vivo nel cronico ritardo per le mie cose personali, pur di essere sempre puntuale nel mondo della professionalità... eh????
Traduco: per dieci anni ho lavorato su tutto, e dico tutto, il territorio di Roma e Castelli per appuntamento. In sostanza, sono più raminga io della Compagnia dell'Anello (o del Ka-Tet di Roland Deschain, per chi avesse letto la saga della Torre Nera di Stephen King). Ciò ha generato in me due conseguenze:
1. essere mobile e motorizzata oltre ogni dire, con automobile, motocicletta (sì, mo-to-ci-clet-ta enduro, non uno scooter), treni, autobus, tram e quant'altro;
2. essere la fannullona più fannullona e trastullatrice che esiste dalle 8 alle ore 12, dal lunedì al venderdì, prefestivi e festivi esclusi.
In conclusione: sono in ritardo sulla mia personale tabella di marcia che prevede estrazione dal pigiama, sistemazione della casa, sistemazione delle mie fibre muscolari e assottigliamento delle riserve lipidiche che risiedono, senza permesso di soggiorno, sui miei glutei. Poco male. Ci sono abituata. Fra mezz'ora Wonder Woman mi invidierà, per la velocità con cui avrò sbrigato le faccende.
Tutto ok? No. Lo dico e lo ripeto: TRAGEDIA!
Torniamo un attimo alla telefonata. Non quella con mamma: quella è normale che sia una tragedia in itinere con finale felice. Perché, insomma, le madri e le figlie sono così: scatenano quotidianamente una Guerra Mondiale a colpi di insulti nucleari e frecciatine biologiche, ma si sa che finisce sempre a tarallucci e vino. Immaginate ora che la figlia sia pure unica e viva lontana: i filmoni di fantascienza che produceva Roland Emmerich negli anni '90 (Stargate, Indipendence Day, The Day after Tomorrow, per dirne alcuni) sono roba da dilettante in confronto.
Non quella telefonata lì.
L'altra. La seconda subdola, piccola, inattesa, sgradita, sgradevole telefonata. Ecco, quella sì che è stata una tragedia.
Prima di andare oltre...


Mi rivolgo a te,
che mi hai appena intervistato,
che cerchi una segretaria personale:
sei un bravo ragazzo,
sei professionale,
sei in gamba.
Hai scelto un lavoro fecale,
ammiro che tu riesca a farlo con tanta nonchalance.
Se passi di qua, non prenderla sul personale.
Dopo tutto quello che ho vissuto lavorando,
ho deciso che voglio essere bisbetica,
logorroica,
stronza,
senza freni, ma non nel senso che hai inteso tu.
Grazie di aver chiamato.
Un consiglio: anche tu hai molto potenziale,
se puoi, cambia lavoro.

Drin! Numero privato.
Già qui, storco il naso.
Altolà!
Chi siete!
Cosa fate!
Cosa portate!
Sì, ma quanti siete!
Un fiorino! 
Giuro che al prossimo numero privato che mi chiama, risponderò così.
Realtà: Pronto?
Sono la superditta (nome detto a trecento all'ora, reso incomprensibile. Secondo me lo fanno di proposito per metterti in difficoltà) organizzazione eventi. Sto cercando una segretaria personale. Stipendio netto: cifra astronomica. Sei interessata?
Certo che sono interessata. Di che si tratta?
Io ditta, direttore, proprietario, gestore e capo della baracca lavoro per Nomi Galattici.
Wow. Ok, ne prendo atto (pensiero privato: già lavorato per Nomi Galattici. Non è che l'esperienza mi abbia arricchita granché, in tutti i sensi; se oggi sono qui un motivo ci sarà). Vai avanti, superditta.
Cerco pulzella segretaria personale.
Requisiti: single, lingue straniere, spigliata, acculturata, viaggiatrice, senza fissa dimora, senza progetti familiari da qui ai prossimi quarant'anni, gnocca, disponibile al "te la faccio vedere ma non la puoi toccare". Ma bada che siamo nell'ambiente dei Nomi Galattici. E comunque ti paghiamo il vestito di Armani, il tacco 12, il make-up e l'estetista.
Da parte mia, momento di silenzio e riflessione. Dopodiché: Ciccio, ho già lavorato per Nomi Galattici e la tua offerta non mi entusiasma (nel frattempo penso ai miei baffetti, al pigiama stropicciato, ai capelli "asciugatura post palestra in 30 secondi" che nemmeno l'asciugatrice dei panni della Whirlpool). O hai qualche carta che mi convinca, oppure mettiamo giù che ho da farmi la ceretta a casa stile Bridget Jones, altro che estetista.
Superditta per feste: ma tu hai potenziale, ho sentito quarantacinque ragazze prima di te, tu sì che sei convincente.
La mia risposta: ti ringrazio, ma non penso di essere la persona adatta a questo lavoro. Ma se vuoi continuare a farmi domande, ehi, sono nel mio anno sabbatico dallo sfruttamento femminile per la manodopera intellettuale, ho tempo da perdere.
Dopo qualche altro insulso ma divertente convenevole, viene il meglio.
Ragazzo superditta: hai qualche foto?
Io: le hai già viste sull'annuncio.
Superditta: no, dico qualche foto più seducente. Se ci hai lavorato, sai che Nomi Galattici amano la seduzione.
Io: sì, proprio perché conosco la natura di Nomi Galattici me ne sono andata. Io sono bella, ma non sono seduttiva. Sono elegante.
Superditta (imperterrita): se dovessi sedurmi, come verresti al colloquio di persona?
Io: ancora... te l'ho detto, non ti devo sedurre. Se hai cervello, ti seduco con l'intelletto. Vengo con gonna sopra al ginocchio e camicia aderente. Sono alta 1.75 e porto la 48, fattela bastare.
Superditta: ma non vuoi proprio provare a mandarmi foto sensuali?
Io (pensando che la foto più sexy che ho è quella che mi scattò mamma a 5 anni sul water): guarda, ho un paio di scatti vestita per matrimoni. Ti mando quelli se vuoi.
Superditta: foto in costume? 5-6 scatti?
Io: 5-6 scatti?!!!
Io, che l'effetto di una macchina fotografica su di me è peggio di una corona d'aglio su un vampiro.
Superditta: va bene dai, non importa. Ma qualche scatto particolare fatto col cellulare? Tutte le ragazze ce l'hanno, dai.
Scoppio a ridere, pensando che ieri ho fotografato la lista della spesa appesa al frigo, perché non mi andava di copiarla sul cellulare... secondo voi vale come scatto particolare?
Superditta: posso continuare con domande ancora più strane?
Io (penso: sto sognando. Non posso fare un colloquio così ridicolo. Ma no, ha ragione lui. Nomi Galattici sono proprio così, lo sappiamo tutti): dai, avanti.
Superditta: che lingerie porti?
Io (penso: quella della Coop): ehm... molto classica. Nera, liscia. A volte in pizzo (ma quando mai, che il pizzo mi dà fastidio??).
Superditta: vestiresti con la lingerie in trasparenza?
Io (ma mica so' Belen, sai come si vedrebbero bene i miei rotoli??): se devo portare un Valentino o un Armani, si può pure fare.
Superditta: le tue fantasie sessuali più spinte?
Io (darla a uno con un minimo di cervello???), cercando di essere più diplomatica del mio pensiero: deve ispirarmi la persona, il resto viene da sé.
Superditta: ma ce l'avrai una posizione, un gioco che ti piace.
Io (farti fare tac ed elettroencefalogramma prima di dartela, così verifico le tue capacità cognitive ed eventuali disfunzioni): no, non ce l'ho.
Superditta: la dai via facilmente?
Io (di nuovo, a quelli col cervello sì. Per te e Nomi Galattici sono più blindata di una banca svizzera): no.
Superditta: immagina una festa o un convegno con Nomi Galattici. A loro piacciono le belle donne. Tu sei una da guardare e non toccare? Toccare un po' ma non esagerare? O magari tocca e divertiamoci?
Io (se mi tocchi perdi un arto, se mi guardi con quegli occhi... apprezzerei che guardassi da un'altra parte ma, come mi insegna la mamma, la propria libertà finisce dove inizia quella altrui: non posso cavarti gli occhi dalle orbite. Troppo aggressiva??): guardare ma non toccare.
Superditta: ok. Scusa per le domande imbarazzanti...
Io: non mi hai imbarazzata (ti sei solo ricoperto di ridicolo, ma non è colpa tua. La colpa è del sistema, perché Nomi Galattici fanno queste porcate e qualcuno deve svolgere il lavoro sporco per loro).
Superditta: dovevo capire se avevi la forza di gestire la situazione. Ho collaborato con ragazze che ho ritrovato al letto con Mister X il giorno dopo. Sai, quell'ambiente è così. Una cena, il vino, Altre Sostanze e non ti ricordi più niente.
Io: ah guarda, io sono astemia (anzi, sono proprio una palla. Sono salutista, fissata con l'alimentazione, astemia, non ho mai fumato né fatto uso di Altre Sostanze, non faccio giochi promiscui, faccio sempre sport. L'unico maledetto vizio che ho è la Cocacola Zero!!).
Superditta, che se ne esce con la frase del giorno: sai, mi hai convinto tanto. Vorrei davvero incontrarti, anche se non vuoi mandarmi le foto. Oppure mandami uno scatto solo. Tu hai un potenziale. Sei un po' frenata, anche se non so perché (ciccio, te lo dico io il perché: si chiama dignità, amor proprio e rispetto di sé). Ma tu sei quella rara bellezza che si può ammirare ma non toccare. Sei la donna che può esercitare influenza su chiunque. Perdonami la volgarità: tu sei quella donna che mi mette Nome Galattico in ginocchio, senza farsi sfiorare, dopo che è venuto nelle mutande.
Io: senti, sei un bravo ragazzo, ti ringrazio per l'offerta e per i complimenti. Conosco le mie potenzialità e le hai indovinate. Non mi interessa sfruttarle per lavorare con Nomi Galattici.
Superditta: ci vuoi pensare? Magari ti richiamo in futuro?
Io: come ti pare. Ciao.

Signore e signori, non dubitate delle credenziali del ragazzo di Superditta. Sono tanti anni che lavoro come libera professionista e riconosco un millantatore. Egli è veramente servo accondiscendente di Nomi Galattici. Ed è stato un onesto colloquio di lavoro telefonico. Un pre-colloquio.
Il ragazzo ha elogiato ogni mio potenziale. Ha inquadrato bene la mia figura professionale, l'ho capito da dettagli che ho omesso nel resoconto. Era educato, cortese, faceva solo il suo mestiere.
Ma allora... perché dopo la telefonata mi sono sentita tanto sporca? Perché mi ha lasciato una terribile sensazione di disagio? Perché i Nomi Galattici sono gli unici che possono garantirci alti tenori di vita, magari infilandoci una banconota da 500 euro fra le tette?
Scusate, forse sputo nel piatto in cui mangio. Ma non ho studiato tanto, per essere un animale da esposizione. Non vivo in uno zoo.
Non sono l'elefante a cui tirare le noccioline dopo un'esibizione.
Probabilmente è un mio limite. Un mondo che non ho mai compreso e non intendo comprendere ora. Ma se l'effetto che mi fa una semplice telefonata è tanto invasivo, come essere molestata fisicamente, ve lo immaginate cosa significherebbe stare lì a farsi toccare il culo? Ma con che diritto un Nome Galattico ubriaco può toccarmi il culo?
A volte mi viene proprio tristezza, a pensare in che mondo viviamo.
Sapete cosa? Adesso me ne vado in palestra, dove mi guarderanno perché non sanno fare altro. Perché sono bella e appariscente e non me ne importa un fico secco. Io indosserò le mie cuffie bluetooth, ascolterò la mia musica e sarò altrove. In un altrove dove posso essere considerata come persona, non come un pezzo di carta (la maledizione della laurea ottenuta)... o un anonimo pezzo di carne.

Solo per i vostri occhi
che mi avete letta
che mi avete vista

LE MIE FOTO SEDUCENTI














mercoledì 25 novembre 2015

Laureata precaria. Ovvero: quando si è troppo fortunati per essere sfortunati

Si lavora per vivere, non si vive per lavorare.
In vita mia l'ho sentito ripetere spesso, da molti interlocutori. Alcuni seguivano la massima citata, altri meno.
Nel frattempo, però, qualcosa deve essere andato storto.
Veramente storto.
Il padre di mia madre, era un postino. Dopo diversi anni in sella alla sua bici, in un tempo in cui i portalettere conoscevano personalmente la maggior parte degli abitanti del paese e si fermavano a scambiare due chiacchiere con le signore casalinghe, vestite con l'immancabile vestaglietta smanicata multicolore, il cucchiaio di legno in una mano e i bigodini in testa, mio nonno fu promosso e spostato agli uffici. Non allo sportello, bensì alla mansione che oggi chiamiamo back-office. Insieme a lui, lavoravano due architetti e un ingegnere.
Quando mi raccontavano questa storia, io adolescente che sognavo di diventare una Indiana Jones in gonnella, arricciavo il naso inorridita. Pensavo a quei tre poveri uomini, che avevano studiato tanto, che avevano fatto chissà quali sacrifici, per poi vedere i propri sogni e progetti affogare sotto un'immane pila di lettere affrancate. Questo accadeva perché, come ogni giovane intellettuale che si rispetti (anche se ora probabilmente verrei definita poco carinamente nerd) immaginavo più che altro di vivere per lavorare: volevo essere una ricercatrice, punto e basta. Le altre opzioni erano da scartare.
Mi piacerebbe molto raccontarvi i perché e i percome di una scelta professionale così radicale in tenera età. E lo farò. Un'altra volta.
La realtà lavorativa dei trent'anni dopo la Seconda Guerra Mondiale era questa: se eri fortunato lavoravi e mangiavi. Se eri molto fortunato, studiavi, trovavi un lavoro qualsiasi e mangiavi. Se eri la fortuna personificata, trovavi il lavoro per cui avevi sgobbato anni e anni, sulle sudate carte di leopardiana memoria.
Dopodiché, c'è stato un bel ventennio d'oro, in cui tutti o quasi avevano la concreta chance di realizzare i propri sogni che, come ci insegna la Cenerentola di Walt Disney (la quale deve soffrire di qualche piccolo disturbo psicologico, perché non ho mai visto una sedicenne che subisce abusi familiari alzarsi la mattina canticchiando e col sorriso), i sogni son desideri di felicità. Fino alla recessione economica del nuovo millennio.
Realtà attuale? La sappiamo tutti. Disoccupazione a livelli vertiginosi, disponibilità di lavori più o meno specializzati ai minimi storici.
MA!
Un altro dei miei MA. La Signora Fornero (e ringrazi che Le ho accordato l'elegante appellativo "Signora"), qualche tempo fa ha detto che noi giovani italiani, in merito al lavoro, siamo choosy. A grandi linee, ci ha detto che siamo schizzinosi. Benissimo. Magari per qualcuno è vero. Ma magari per qualcun altro no.
Lasciate che vi racconti le mie ultime esperienze, così ci facciamo insieme un'idea della situazione.
Personalmente, come ogni essere umano, ho delle competenze, delle capacità innate, ma ho anche dei limiti che devo rispettare. Perciò è un po' improbabile che mi troviate a fare la cubista in discoteca o la cameriera in un pub, perché la confusione mi mette a disagio: tempo una settimana e mi ricoverano in neuro. Ciò non toglie che io sia dotata di buona manualità e forza fisica, per cui a lavorare in posti come Ikea o un Brico "X" mi sentirei come un porcello nel fango.
Poche settimane orsono, vado all'ennesimo colloquio, nella speranza di ottenere un posto come segretaria d'azienda. Il giovane che mi intervista rimane abbastanza entusiasta della mia persona, sono quello che cerca: ottimo inglese, ottimo computer, brava col bricolage, dinamica, precisa.
Anch'io lì per lì sono ottimista: mi hanno convinto soprattutto le reali 40 ore pagate una per una, con tanto di tredicesima e quattordicesima, ferie e malattia incluse.
Non mi piace molto la sua domanda: ma tu, con tutto questo curriculum, vieni a fare la segretaria per ripiego?
Gli rispondo francamente: certo, perché voler impiegare venti minuti per arrivare al lavoro, invece di due ore e mezzo, ed essere in grado di mangiare tutti i giorni che compongono un mese è un ripiego.
Il tutto finisce in maniera positiva, con la bozza di contratto promessa per la settimana successiva.
Purtroppo, dopo tre giorni: tragedia! Il papabile datore di segretariato, mi telefona dicendo che il suo socio ha dei timori sulle mie troppe competenze. Delusa e notevolmente incazzata, chiedo delucidazioni: eh niente, tu sai fare troppe cose, magari vorresti trovare un lavoro più qualificante, in cui puoi crescere professionalmente, a fare la segretaria poi ti annoi e vedrai che te ne vai.
Inutili le mie spiegazioni sul fatto che semplicemente VOGLIO MANGIARE!!!! Che non ne posso più, a trentun anni suonati, di telefonare a casa da mamma e chiedere se mi manda dei soldi, nemmeno fossi una matricola universitaria fuori sede.
Ingenua me, che speravo di poter finire come i colleghi di mio nonno, con la laurea appesa in casa, ricordo prezioso di un bel periodo della mia gioventù, e le tasche dignitosamente nutrite di un onesto lavoro dipendente.
Sciocca me, che ho un'amica che lavora in una catena di alimentari e ho pensato che, hai visto mai, poteva presentarmi il direttore, una stretta di mano e un curriculum e poi chissà. Giusto l'altra sera, colei mi raccontava di un'altra sua conoscenza che le aveva chiesto aiuto: stessa mia situazione, laureata in giurisprudenza, in mezzo a una strada, senza mangiare. Indovinate? Il direttore megagalattico del supermercato non l'ha presa. Perché? Ovvio: ma lei è laureata, lavorava alle risorse umane, io mi vergogno a offrirle un posto da cassiera.
Adesso mi rivolgo a voi, cari imprenditori italiani: finiamola con questo ragionamento del piffero, per cui noi laureati siamo degli animali pericolosi che cercano la carriera a tutti i costi. Le carriere straordinarie (come canta Cristicchi nella sua profetica "laureata precaria") sono sogni per ventenni o per maledetti sociopatici, che fanno del lavoro la propria ragione di vita. Noi non siamo un pezzo di carta qualunque, emesso dalle università e firmato dai rettori. Non siamo il nostro linguaggio forbito o la capacità di risolvere equazioni di grado n a più variabili. Noi siamo persone, esattamente come voi. Vogliamo una famiglia, vogliamo una dignitosa indipendenza, vogliamo avere un posto dove tornare la sera che sia nostro, non il comodato d'uso gratuito di ciò che i nostri genitori hanno creato per loro stessi.
E a voi imprenditori senza scrupoli, che pensate di poterci sfruttare, che ci trattate come merce a consumo: ma davvero credete che possiamo campare lavorando 60-70 ore alla settimana percependo uno stipendio di 800 o 900 euro? Ma io, che vivo sola perché con quell'orario di lavoro non ce l'ho il tempo di avere una vita sociale, figuriamoci di farmi una famiglia, come posso fare la spesa, lavarmi i costosissimi tailleur che tu pretendi che io indossi, stirarmi le camicie e pulire una casa in cui vado solo a dormire? Facile? Mangio fuori e prendo la donna delle pulizie? Allora devi pagarmi di più, per essere la tua schiava, perché 900 euro non bastano per mangiare tutti i giorni in rosticceria, purtroppo ho anche tasse e bollette che mi aspettano nella buca delle lettere.
Ora basta. Non diteci che siamo fortunati. Perché a vivere un presente sulle spalle delle nostre famiglie, senza alcuna possibilità di costruirci un futuro, non è fortuna.
E ricordatevi che voi state pagando l'INPS per pagare la pensione delle vecchie generazioni. Se non ci mandate a lavorare, a fare le cassiere, le commesse, le segretarie, le operaie, la vostra pensione non ve la pagherà nessuno.



lunedì 23 novembre 2015

Vita da Garage: istruzioni per l'uso

Data di decorrenza del contratto di locazione: 20 novembre 2015.
Locatore: Google.
Conduttore (ovvero occupatore del blogspazio): Ludovica, in arte ma senza parte, Ludo.
Tipologia di locale: garage, blog. Personal blog? Job blog? Garageblog?
Metri quadrati: variabili.
Gigabyte quadrati: ??? Qua stiamo esagerando...
Indirizzo: Ludo's Garage blogspot.

Il conduttore si impegna a comportarsi in maniera adeguata?
Ci proverà.

Signore e signori, buonasera. O almeno, nel momento esatto in cui sto scrivendo, è sera; per quanto il Google-orologio sia regolato su un fuso orario a me ignoto e, in questo preciso istante, sia troppo pigra per andare a vedere come reimpostarlo su GMT+1, Roma, Parigi, Bruxelles. Chiedo venia.
Fuori piove ed è arrivato un freddo umido che fa scricchiolare le ossa perfino ad una balda giovine come me. Per fortuna, tra le mie cianfrusaglie, ho riscoperto una stufetta elettrica ai cristalli di quarzo e una bella coperta di pile. Pare proprio che, anche per questo inverno, me la caverò. Almeno sull'argomento "come non morire con le terga trasformate in cristalli di ghiaccio".
Ma non siamo qui per parlare di meteo e stagioni, per quanto possano influenzare in maniera consistente l'andamento vitale di chiunque.
In meno di tre giorni, ho riscosso un inaspettato ed insperato successo sulle pagine social da me create: Facebook in primis, Pinterest, Twitter e, ovviamente, Blogger. A tutti: un grazie dal più profondo del mio cuore. Iniziare con 88 (attuali) "mi piace" su Facebook è un grande incoraggiamento.
Come ogni conduttore perbene (nel mio caso conduttrice perbene), mi sono impegnata a fare del mio meglio. Ho arredato lo spazio a mia disposizione con mobili essenziali ma eleganti, ho steso un foulard qui, ho appeso una tenda lì... ehi tu, laggiù! Non ti azzardare a toccare la mia Lava Lamp!
Punto primo: mi segue fedelmente dal primo giorno di università, perciò ci sono ultra affezionata, guai a te se la rompi.
Punto secondo: quando è accesa, e sfrutta i moti convettivi per far galleggiare le bollone di cera, scotta più di una pentola di pasta e fagioli.
Giù...Le...Mani!!!
Vedete, non manco mai di consigliarmi con amici, parenti e conoscenti quando inizio un nuovo progetto; fosse anche uno nato per caso e per istinto, come questo, figlio di tante emozioni contrastanti e molta, forse troppa, tenacia. I cosiddetti feedback sono importanti.
Ho ricevuto preziosi consigli, critiche costruttive, osservazioni inaspettate, dubbi e timori di chi mi vuole bene e vorrebbe proteggermi ad ogni costo. Ascolto e sono grata. Faccio tesoro. Rimugino e rifletto. A volte, come chiunque abbia una creatura neonata da coccolare e vorrebbe sentire solo complimenti, ci rimango un po' male. Fa niente: il bello della diretta.
Di nuovo, modifico, aggiusto, accordo (nel senso musicale del termine), accontento (il cliente ha sempre ragione... nei limiti del rispetto altrui, sia chiaro).
Ora però, tocca a me.
Torno alla domanda d'esordio? Cos'è questo blog?
Risposta iniziale, tutt'ora valida: una vetrina. La mia vetrina.
Forse incompleta.
Mi adeguo ai tempi, che a volte non mi rispecchiano, tant'è che per ironizzare, sdrammatizzare e perché no, vantarmi un po', certe volte mi autodefinisco anacronistica. Se poi io sia troppo indietro o troppo avanti, lascio decidere a voi. Mi adeguo: è una sorta di reality show. Il mio reality show. Ludo's Garage.
Qui io vivo, sogno, mi arrabbio, amo, odio, dormo, mangio, faccio sport, cerco lavoro, espleto altre funzioni. Qui è dove ho parcheggiato tutti i miei effetti, in attesa di un futuro in cui i metri quadrati siano reali, non solo rappresentati in byte di memoria su un server. 
Ci sono scatoloni di Ikea in ogni dove. (Io adoro Ikea!! La mia logica soluzione svedese ad ogni problema organizzativo!) Quelli di plastica polipropilenica (e adesso provate a dirlo cinque volte di fila a voce alta, ihihihihih!) trasparente: sono a tenuta stagna, impilabili e potete guardarci attraverso, senza dover scrivere romanzi per ricordare cosa è finito dove.
Ci sono buste, bustine e bustarelle, di oggetti che, ma sì, dovrei buttare, magari domani, se passa il netturbino, forse dopo le Feste. I libri. I miei poveri libri, accatastati alla rinfusa, senza più un'archiviazione decente.
In ogni dove: il caos che contraddistingue ogni garage. È inevitabile, anche la persona più metodica (e fatevelo dire da un'assiriologa, che dell'aggettivo "metodico" ha fatto il proprio stile di vita), alla fine, cede alla tentazione di stipare nell'angolo, nel ripostiglio, l'oggetto che vorrebbe buttare, che non serve, ma chissà, un giorno potrebbe tornare utile.
Troverete battute sciocche e frasi inutili? Può darsi.
Troverete post che non vi piacciono? Non è da escludere.
Sulla sidebar spunteranno vignette e pubblicità (di attività che IO svolgo o sperimento, scelte da me legalmente e liberamente) che vi infastidiranno? Come si dice... po' esse!
Avrete voi potere di farmi cancellare alcunché? No.
Ne parleremo. Ne discuteremo pacificamente. Ci confronteremo.
Ma questo è il mio garage. Rifletteteci bene: un g a r a g e, la nicchia della nicchia della nicchia della società. Lo spazio morto, il dimenticatoio, il posto in cui si relegano gli attrezzi di bricolage dei mariti, perché lasciarli in salotto proprio non è il caso. Perciò, già mi rannicchio nel mio pile, a cercare di scongelarmi i torniti glutei al tepore di 400 watt di stufetta... non chiedetemi l'impossibile!
MA!
Eh be', qui ci vuole un bel "MA". Come ho già detto, questa non è una resa. Non è una lamentela. Non mi sto nascondendo. Tutt'altro.
Ludo's Garage è un nuovo inizio. Un progetto. La ricerca di una nuova me, al livello professionale.
Avete idea di quante grandi idee sono nate in un garage? Innumerevoli! Una per tutte: la mela morsicata più famosa del mondo, ad opera di un uomo (un folle, un genio, un visionario) che la parola "lavoro" ce l'aveva nel nome. Miei cari avventori, un inchino all'immenso, purtroppo compianto, Steve Jobs e all'azienda che ha cambiato il modo di pensare le macchine calcolatrici: Apple Inc.
Insomma... non che io abbia tali sogni di maestà e grandezza. Probabilmente, non ne avrei nemmeno le capacità. Ma a pensarla così, a quanti milioni si possono fare, scrivendo diagrammi di flusso e giocando con un saldatore nel garage di papà, mi sembra che la stufetta scaldi un po' di più.



Concedetevi quindici minuti per ascoltare questo discorso.
Rivolgo l'invito specialmente ai ragazzi che, come me, sono in cerca di un nuovo cammino.

sabato 21 novembre 2015

Come tutto ha inizio,
tra la polvere e gli scatoloni

Eccoci qua, un polveroso garage pieno di scatole numerate, buste blu di Ikea in ogni dove, pronte per essere spostate di nuovo. Destinazione: ignota. Ovunque mi porti il prossimo contratto di lavoro. Già, già.
Mi presento: Ludovica Palestini, 31 anni (per ora), italiana, segno dell'ariete, laurea in una roba archeologica che non interessa a nessuno detta assiriologia, maturità linguistica presa col massimo dei voti, lode, bacio accademico, lucine di Natale messe per l'occasione, complimenti della commissione e quant'altro.
In cerca di lavoro.
Scusate, sono troppo orgogliosa e presuntuosa per definirmi disoccupata. No, non ci sto. Disoccupato è quel poveraccio che si arrende all'evidenza dei fatti, ovvero che il mondo del lavoro è più feroce di un branco di leoni dopati che insegue la povera gazzella, qualcuno le dia una Redbull per favore, così mette ali di caffeina e non quelle del padreterno, finendo nel felino menù. Ma si sa, tutti devono mangiare. I carnivori, gli onnivori, gli erbivori e tutti gli ennevori (dalla lettera n, che in matematica indica "al suo posto mettici il cavolo che ti pare"). Solo che il povero disoccupato non ne può più, non vuole andare a brucare l'erba col rischio perenne che un leone gli morda il quarto posteriore. E allora si arrende. Poveraccio, ha ragione.
Perché non mi piace definirmi disoccupata? Perché sono matta, ancora non mi sono arresa. Ovvio, al momento ho due mestieri molto proficui:
1. farmi mantenere nonché passare gli alimenti dai miei affetti più vicini;
2. confrontarmi con realtà umane e professionali variegate e multicolori, al fine di recedere dal contratto di lavoro n. 1. Una libera professione molto interessante, quest'ultima, che ti arricchisce cerebralmente come nient'altro sa fare.
A tutti gli avventori, vi prego, risparmiatemi la paternale "potevi pensarci prima, invece di laurearti in una materia così inutile come l'archeolgia". A conti fatti, tornando indietro non mi iscriverei proprio all'università! Fermo restando che, su un piano personale, non me ne pento assolutamente perché era quello che volevo studiare e mi sono divertita come al luna park, al livello pratico, oggi avere una laurea (più o meno qualsiasi laurea) è come andare in giro con un certificato di positività all'HIV o alla lebbra (la quale, comunque, per quanto infettiva si cura cogli antibiotici perché è un batterio... storia purtroppo non valida per il temibile virus che spesso sfocia nella sindrome da immunodeficienza acquisita). Il diploma è un passepartout molto più efficace e, dato che mi sono diplomata a 18 anni, avendo fatto la primina, ora avrei ber tredici (13) anni di contributi versati. Non zero (ZERO) perché con tutte le mie competenze ho sempre lavorato con contratti a progetto oppure, udite udite, a collaborazione occasionale: quelli che si fanno alle liceali baby sitter che si guadagnano da sole la paghetta.
13 anni. Come le lingue che ho studiato. Non ci credete? Peggio per voi. Anzi, adesso ve le elenco:

MODERNE
- inglese
- francese
- tedesco
- spagnolo
- portoghese
- olandese

ANTICHE
- latino
- etrusco
- egiziano antico (geroglifici)
- svedese antico (norreno)
- sumerico
- accadico
- ittita

Carine, vero?
Bene, se oltre ad avervi snervato, vi ho incuriosito, leggete la mia lettera di presentazione, che un giorno mi è venuto in mente di pubblicare su internet. Ad un'altra storia, i commenti e le proposte lavorative che ho ricevuto in seguito alla mia mossa telematica.


Per concludere. Perché sono qui? Cos'è questo blog?
La mia vetrina.
Una volta, avevo un progetto. Promuovere la cultura. Insegnare al mondo quanto può essere bello conoscere, sapere, scoprire, studiare. Volevo dimostrare che si può e si deve insegnare giocando, "ludendo docere", come si dice in latino. E se avete voglia di dare un'occhiata, esiste un blog abbandonato, diroccato, pieno di lacrime, ragnatele, frustrazione, delusione, sogni infranti, che non ho la forza di cancellare, non tanto per me, quanto per tutti quelli che mi hanno aiutata, sostenuta, mi amano e credono costantemente in me:


Sempre io, la mia logorrea verbale, la mia arguzia, ma molto meno arrabbiata e tagliente.
Oggi me ne sto in un garage, perché ho finito i soldi per pagare un bel loft in cui impartire perle di saggezza multirazziali, multiculturali, multisociali.
Sto qui a non arrendermi, a mettermi di nuovo in mostra, ma senza compromessi.
So fare un sacco di cose. So parlare bene in italiano, conosco il congiuntivo, l'uso della punteggiatura e scrivo in courier, per la stortura di naso di tutti i blogger professionisti, perché a cinque anni sapevo già usare la macchina da scrivere e questo font me la ricorda.
Sono tecnologica, sono spigliata, sono empatica (forse troppo), sono social ma non sono socievole. Sono molto educata e formale, elegante e raffinata. So usare trapani e cacciaviti, se preferite, andando in giro sulla mia moto enduro con Timberland nere di pelle e jeans.
Sono il vostro jolly versatile, il coltellino svizzero di McGiver.
Ma sappiatelo, non avere al momento un impiego stabile non mi spinge ad accettare di essere sfruttata. Possiamo parlare di partita IVA, se la paga è così buona che mi permetta di versare contributi e avere due soldi per pagare il Tachiflu quando ho la febbre e il biglietto del treno in agosto, quando torno dai miei genitori.
Lavorerò il numero di ore che mi pagherete: se sono 40 settimanali, non ne farò 60. Posso lavorare sabato e domenica, Natale Pasqua e Pasquetta. Ma avrò un giorno libero a settimana. Sono stacanovista, ma non porterò il lavoro a casa, a meno che non sia crollato l'ufficio e l'unica speranza di salvezza sia il dropbox che avete aggiornato controvoglia.
Sono brava. Mettetemi alla prova e rispettatemi. Ciò che di buono mi darete, sarà ripagato al cento per cento.
Sono a Sud di Roma se mi cercate.
Per tutti gli altri, i ragazzi che sono passati di qui per caso, i lettori annoiati, i web-blog-social-nauti: salute a voi! Parliamo?
Ai disoccupati o ai cercatori di lavoro: non vi arrendente! Se anche i leoni corrono dietro di voi, non bevete né mangiate da settimane perché è periodo di magra, prima o poi la Redbull arriva. Se la danno ai personaggi cretini di quelle vignette, perché a noi no?
Salute a voi!


Della serie "perché io ci metto la faccia": salve!

venerdì 20 novembre 2015

1...2...3... il gelido robottino
vuole dire la sua

Un messaggio dall'oltretomba?
No... dall'oltrecomputer che adesso mi è di fronte, mentre scrivo castronerie sul mio smartphone targato Google Android.